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Nuovo Paese Maggio 2017 – Filef Australia
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Nuovo Paese – Numero di maggio 2017

Editoriale

La cooperazione, non il cowboy solitario

L’attacco alla Siria è stato “mirato e limitato” e una “risposta proporzionata”, secondo il Pentagono, che lo ha giustificato come risposta all’uso, sempre secondo il Pentagono, delle armi chimiche da parte di Assad.
Un attacco di cui Washington aveva preavvertito diversi paesi, tra cui anche la Russia, circa un’ora prima. Gli USA non hanno ritenuto necessario utilizzare  alcuna cautela a pochi giorni di distanza dal lancio della “madre di tutte le bombe” in Afghanistan il 13 aprile. Ciò che desta più meraviglia però è la sostanziale tranquillità  e assenza di spirito critico con cui la notizia è stata trasmessa e “digerita” dal resto del mondo istituzionale.
Nel caso dell’Afghanistan, è stato detto che il numero di morti è limitato a una trentina di terroristi, ma è difficile esserne sicuri immediatamente dopo un’esplosione, a meno che non si sappia in anticipo chi si trovava in quel momento sotto quelle montagne. Tuttavia, anche se così fosse, come si può giustificare tanta distruzione per un obiettivo relativamente marginale? E qual’è l’impatto ambientale di una bomba così potente? L’accettazione degli attacchi statunitensi sembra aver aperto le porte ad una nuova e più pericolosa pratica della cultura della forza, che prevale a livello globale, spinta sopratutto dal governo americano, i cui atteggiamenti, linguaggio ed azioni sono degni del miglior western hollywoodiano di serie B, con lo stereotipo del buon cowboy che combatte contro il male.
Ma gli Stati Uniti rappresentano una piccola parte della popolazione globale (circa 324 milioni su un totale di 7.432 milioni di persone), anche se consumano una parte sproporzionata delle risorse della Terra, con relativa produzione sproporzionata di rifiuti e di inquinamento. Per esempio, secondo i dati della Banca Mondiale, con il 5% della popolazione mondiale, gli USA consumano il 24% dell’energia mondiale.
Prima o poi i governi del mondo dovranno assicurare il rispetto delle leggi internazionali e contrastare questa rischiosa strategia della tensione che mira a nascondere l’insostenibilità dell’attuale sistema economico, col suo pericoloso carico di disparità sociali.
La politica di “regime change” si deve rifiutare, non soltanto perchè infiamma e alimenta guerre, ma perchè è un atto di aggressione che non ha nulla a che fare con la giustizia e la democrazia.
L’attuale  stato di disordine internazionale non sarebbe tollerabile all’interno di un singolo paese, e richiede un ritorno immediato al rispetto degli stati sovrani e a un impegno per una politica di pace, come quella imposta dalla volontà popolare all’indomani delle due guerre mondiali.

Cooperation, not the lone cowboy

The US attack on Syria was “targeted and limited” and a “proportional response”, according to the Pentagon, which justified its reaction to Assad’s reported use, again by the Pentagon, of chemical weapons.
Washington we were told had warned several countries, including Russia, about an hour earlier of the attack. The US did not consider it necessary for any such caution a few days later with its launch of the “mother of all bombs” in Afghanistan on April 13. What is most striking, however, is the equanimity and lack of critical scrutiny with which the news was broadcast and “digested” by the world as represented by its institutions.
In the case of Afghanistan, it was claimed that deaths were limited to some thirty terrorists. Even on that basis how can one justify such destruction for a relatively marginal goal? And what of the environmental impact of such a powerful bomb? Acceptance of these US attacks promotes the culture of force, spearheaded by the American government, whose attitudes, language and actions are worthy of the best B grade Hollywood westerns with their stereotypic frame of good cowboys fighting evil.
The US represents a small part of the global population (about 324 million out of a total of 7,432 million people), although it consumes a disproportionate part of the Earth’s resources and produces a parallel disproportionate amount of waste and pollution. For example, according to World Bank data, with 5% of the world’s population the USA consumes 24% of the world’s energy.
Sooner or later, world governments will have to ensure compliance with international law and counter this risky strategy of tension that seeks to distract from the current unsustainable economic system, with its dangerous burden of social inequality.
The “regime change” policy must be rejected, not only because it inflames and feeds wars, but because it is an act of aggression that has nothing to do with justice and democracy.
The present international disorder would not be tolerated within a single country and requires an immediate return to a respect for sovereign states and a commitment to a peace policy such as that imposed by popular will after the two world wars.

NP maggio 17